Marco Pannella, ultimo profeta dell'antipolitica
- ernesto genoni
- 19 mag 2016
- Tempo di lettura: 2 min
La morte, la vita, la fame, la sete, i liquidi, la pipì - lo ritrae così Marco Damilano dalle colonne dell'Espresso di oggi. Il corpo come arma di lotta. Odiato, negli anni Settanta, dalla destra, dai moderati, dai democristiani, dalla sinistra comunista. Torrenziale, logorroico, irrefrenabile. Tra digiuno e televisione, scandalo e politica-spettacolo, coraggio e narcisismo. Storia di un funambolo che ha camminato sul filo.

«Un gigionesco mattatore capace di rubare il posto a un morto nella bara pur di mettersi al centro del funerale», scrivevaIndro Montanelli diMarco Pannellanegli anni Settanta, in un ritratto pur affettuoso: «È figlio nostro, un figlio discolo e protervo, un gianburrasca devastatore, un brancaleone, uno sparafucile, un saccheggiatore di pollai». Ma sempre figlio nostro: di un'Italia laica, liberale, anarchica. Ora che non c'è più, in molti spereranno di vederlo prendere la parola al suo funerale, per non abbandonarla. Alzandosi in piedi, come aveva fatto una volta citando il Calvero di Chaplin in “Luci della ribalta”, Marco Pannella dirà: «Non vi preoccupate, sono già morto tante volte».
La morte, la vita, la fame, la sete, i liquidi, la pipì. Il corpo come arma di lotta politica: il corpo delle donne, la libertà dell'utero contro il potere delle mammane, il corpo costretto in cella dei detenuti, il corpo prigioniero della malattia come quello di Luca Coscioni, ma anche il corpo di Ilona Staller nell'aula della Camera, con il seno nudo in piazza Montecitorio, a scandalizzare i benpensanti. E, più di tutto, il corpo del Marco, offerto a riscatto dei non rappresentati, quasi cristologico ma più di ogni cosa pannellacentrico, brandito come un oggetto contundente, gettato nella mischia, slentato, deformato. Carne, sangue, guance infossate, labbra screpolate, occhi vitrei. E la voce che non si fermava mai.
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